LA TRAPPOLA DI BIN LADEN: FUORI UNO AVANTI UN ALTRO

En el encuentro convocado en San Cristóbal de las Casas por el Ejército Zapatista de Liberación Nacional, la Universidad de la Tierra y la revista Contrahistorias para rendir homenaje al recientemente fallecido Andrés Aubry, participan el historiador

Traduzione di Resistenza Antisistema rivista ed approvata da Immanuel Wallerstein (testo originale 1\2\2012)

Nell’Ottobre del 2001, subito dopo l’11/9, scrissi ciò che segue:

“I regimi [in Pakistan e Arabia Saudita] sono basati su una coalizione sostenuta dalle elites progressiste filo-occidentali e un establishment islamico di matrice popolare estremamente conservatore. I regimi hanno mantenuto la propria stabilità perchè sono riusciti a gestire questa combinazione grazie all’ambivalenza delle loro politiche e delle loro dichiarazioni ufficiali”. [..]

“Gli Stati Uniti dicono così, senza ambiguità. Gli Stati Uniti potrebbero prevalere, senza dubbio. Ma, nel processo, i regimi in Arabia Saudita e Pakistan potrebbero ritrovarsi con la loro base popolare irrimediabilmente compromessa…”.[…]

“Ipotizziamo che questo avesse potuto essere il piano di Bin Laden. La sua missione suicida potrebbe aver avuto lo scopo di far cadere gli Stati Uniti in questa trappola.”
Credo che Bin Laden abbia ora ottenuto quello che voleva in Pakistan. La fine delle ambiguità ha significato che il Pakistan non sta più agendo geopoliticamente negli interessi degli Stati Uniti. Anzi, il contrario! Ha preso le distanze e sta seguendo politiche in Afghanistan e altrove a cui gli Stati Uniti si oppongono fortemente. Fuori uno, avanti un altro.

Cosa sta succedendo in Arabia Saudita? Non c’è dubbio che recentemente l’Arabia Saudita stia  agendo in modo più indipendente dagli Stati Uniti di quanto abbia fatto negli ultimi settant’anni ma non ha ancora rotto definitivamente con loro, come ha fatto adesso il Pakistan. Lo farà nell’immediato futuro? Penso che potrebbe.

Prendiamo ora in considerazione i molteplici dilemmi interni al regime. Il benessere del 10% circa dei sauditi ha portato ad un forte aumento delle richieste per una “modernizzazione” dello Stato, in particolare sulle questioni riguardanti le donne (diritto all’impiego, diritto alla guida). La richiesta di maggiori diritti per le donne, però, è soltanto la punta dell’iceberg di un tentativo più ampio di allentare i vincoli dell’ortodossia Wahhabi. Mentre il Re si muove costantemente, ma cautamente, per assecondare queste richieste, provoca ancor maggiore ostilità da parte dell’establishment religioso. Stanno diventanto piuttosto impazienti.

In più, le elites “modernatrici” hanno anche altri reclami da fare. Il governo saudita è essenzialmente una gerontocrazia, guidata da persone di 70-80 anni. Nel curioso sistema di successione, il regime saudita è in qualche modo simile al vecchio regime sovietico dell’URSS. Esiste qualcosa di simile al voto sulla successione, ma è espresso solo da una dozzina di persone. La possibilità che il potere effettivo passi nelle mani di una persona di 50-60 anni è estremamente labile, se non impossibile. Da notare, comunque, che il gruppo di questi “giovani”, anche soltanto all’interno della famiglia reale, è cresciuto considerabilmente di numero e sono tutti impazienti. Potrà questo portare ad una seria frattura all’interno dell’elite dominante? E’ possibile.

Il regime saudita attua una sorta di stato sociale per il resto della cittadinanza. Eppure, il divario tra reddito e ricchezza è in crescita, così come nel resto del mondo, e i saltuari aumenti minimi nella redistribuzione possono soltanto stimolare l’appetito per ulteriori domande invece che calmare i ceti più bassi. Il ceto medio e basso potrebbero addirittura (sorpresa, sorpresa!) risondere alla chiamata delle Primavere Arabe per “democrazia”.

E’ poi presente anche una minoranza Shiita. Dicono che sia circa il 10% della popolazione, ma è probabilmente più ampia e, più importante, è strategicamente situata nel sudest del paese dove si trovano le maggiori riserve di petrolio. Perchè questa minoranza Shiita non dovrebbe inseguire rivendicazioni identitarie come negli altri paesi a dominanza Sunnita del Medio Oriente?

Il regime saudita ha cercato di giocare un ruolo predominante nella geopolitica della regione. Sono insoddisfatti dalle politiche e dalle aspirazioni dell’Iran e dall’intransigenza di Assad in Siria però, detto questo, sono stati in realtà piuttosto moderati nel loro approccio a queste problematiche. Temono le conseguenze di gesti estremi e ritengono la politica degli Stati Uniti troppo governata dai suoi bisogni interni e dalla sua devozione incondizionata ad Israele.

Anche riguardo Israele i sauditi si sono dimostrati molto “ragionevoli” ma non ritengono che la loro “ragionevolezza” sia stata adeguatamente ricompensata, né da Israele né dagli Stati Uniti. Ora potrebbero essere pronti ad aiutare Hamas più apertamente. Non vedono nulla di “ragionevole” nelle politiche del governo israeliano, né alcuna aspettativa che queste politiche possano cambiare presto.

Tutto ciò non è espressione di un regime politicamente stabile. Certamente non di un regime che possa mantenere le “ambiguità” che gli hanno permesso di essere un alleato incrollabile degli Stati Uniti nella regione.

Fuori uno avanti un altro?

[Copyright di Immanuel Wallerstein, distribuito da Agence Global. Per diritti e permessi, compresi traduzioni e pubblicazione su siti non-commerciali, e contatti: rights@agenceglobal.com, 1.336.686.9002 or 1.336.286.6606.

Il permesso viene concesso per scaricare, inviare elettricamente, o spedire a mezzo e-mail ad altri, purché il saggio resti intatto e la nota sul copyright venga mostrata. Per contattare l’autore, scrivere a: immanuel.wallerstein@yale.edu.

Questi commenti, pubblicati due volte al mese, vogliono essere riflessioni sulla scena mondiale contemporanea, vista dal punto di vista non dei titoli immediati ma del lungo termine.]


Comments are disabled.