In questo articolo cercheremo, partendo da una definizione “particolare” di neoliberismo, di ricostruire le strategie che i vari stati hanno contrapposto alla crisi del 2008 per poi provare a capire quali conseguenze queste strategie avranno sulle varie economie e sul sistema capitalista nel suo complesso.
Cominciamo con il definire secondo noi che cosa è il neoliberismo. Come abbiamo già scritto in “Crisi, egemonia e lotta di classe”, crediamo sia la copertura ideologica, un velo di razionalità che copre un sistema di potere egemonico centrato negli USA. Per essere più chiari quando negli anni 70 l’economia produttiva americana entrò in crisi i capitali a stelle e strisce non trovarono altro sbocco remunerativo se non nella finanza, così nacque il neoliberismo, come giustificazione per lo spostamento degli investimenti dal settore produttivo al finanziario e come modo per prolungare il dominio egemonico americano sul sistema mondiale. Abilmente nascosto dietro alla retorica del libero mercato e della globalizzazione è stato coperto uno dei saccheggi più imponenti che il genere umano abbia mai conosciuto. Peccato però che l’accumulazione finanziaria per funzionare è obbligata a scollegare i valori dell’economia reale da quelli speculativi, la realtà dalla finzione matematico-economica, creando cosi le ormai famose bolle o, per usare un’altra metafora, scavando un buco, un pozzo, la cui profondità rappresenta proprio la distanza dei valori reali da quelli speculativi\neoliberisti. L’esplosione della bolla dei derivati subprime ha mostrato al mondo l’entità di questo buco che, dalla crisi degli anni 70, la speculazione finanziaria aveva scavato: oggi siamo tutti sul bordo dell’abisso cercando con spinte e sgambetti di far cadere chiunque non sia noi.
Ora possiamo entrare più nello specifico della crisi e delle differenti soluzioni che dal 2008 sono state intraprese. Dopo il fallimento di Lemhan Brothers la reazione immediata e coordinata a livello globale è stata spostare tutti i buchi (emersi) dalle banche private ai debiti pubblici dei singoli stati. Cosi, inconsapevolmente e involontariamente, i popoli del globo hanno regalato la salvezza proprio a chi fino a quel momento non si era fatto scrupolo di sottometterli alle proprie logiche di devasto e saccheggio, cioè al neoliberismo. Tutte le fallimentari banche mondiali hanno beneficiato dei migliaia di miliardi che nel breve sono stati stampati dalla principali banche centrali. Dopo questo primo intervento “coordinato” sono cominciate a nascere le prime divergenze di strategia. Il problema era lo stesso per tutti gli sfidanti: ballare sull’orlo del baratro senza cadere.
A chi sarebbe rimasto in mano il cerino? Chi avrebbe ripagato quell’enorme buco? Non esistono molte risposte a queste domande; la risposta più facile, e praticamente l’unica condivisa a livello planetario, è stata che a pagarlo dovevano essere gli sfruttati. Questo, però, non poteva bastare da solo, non si può spingere troppo sulla lotta di classe senza ricevere in cambio una resistenza di classe, che infatti, anche se in molti casi inconsapevole e spontanea, non ha tardato a manifestarsi.
L’asse centrato negli USA (USA-UK-Giappone), padri padroni del neoliberismo e maggiori beneficiari da esso, hanno optato per continuare sulla linea dell’accumulazione finanziaria\speculativa, possiamo dire che hanno continuato a scavare: a pagarlo dovevano essere gli sfruttati, gli altri stati e il capitalismo produttivo. Quindi salvataggi indiscriminati delle banche, nessuna regolamentazione per la finanza, tassi di interesse allo 0% con liquidità illimitata ottenuta stampando nuova moneta e creando nuovo debito pubblico. Parallelamente hanno provato a spingere giù nel fosso l’Europa, vecchio alleato ma principale concorrente internazionale del dollaro, attaccandola con agenzie di rating, dichiarazioni ufficiali e speculazione finanziaria, colpendo miratamente ogni decisione che il vecchio continente avesse preso contro il loro volere ed i loro interessi.
L’Europa, a guida tedesca, ha adottato una strategia differente: a pagare dovevano essere sempre gli sfruttati, gli altri stati ed il capitalismo produttivo ma anche le banche e l’accumulazione finanziaria. Quindi si è avviata una regolamentazione e tassazione della finanza (anche se ancora allo stato embrionale), si è imposta agli stati l’austerity per bloccare la crescita dei debiti pubblici e limitato cosi al minimo indispensabile la stampa di nuova moneta, andando a tagliare la spesa pubblica e quindi il welfare. Esemplare è stata la svolta nel “salvataggio” del paradiso fiscale di Cipro: al posto di un Bail-out, ovvero il modello di salvataggio bancario in voga dal 2008 ad oggi per cui tutto il carico degli aiuti ricadevano sulle spalle del pubblico e quindi dei contribuenti (nella maggior parte dei casi senza pretendere nulla in cambio), si è deciso di chiudere il paradiso e di adottare un Bail-in, cioè gli azionisti delle banche e alcuni depositari hanno partecipato alle perdite. Perché questo dovrebbe significare un passo contro la finanza? Perché le banche europee sono altamente interconnesse, quindi aprire alla partecipazione degli azionisti come modello di riscatto vuol dire aggiungere le banche tra chi dovrà pagare il conto (ma anche i depositari con conti superiori ai 100.00 euro). A questo punto è facile capire che, quando a fallire saranno banche di entità superiore, grazie alla scelta dei bail-in, a cascata ci saranno effetti nefasti su tutto il sistema bancario mondiale e nel caso europeo sopratutto per quelle tedesche e francesi ricche di derivati-spazzatura e azioni di altre banche del vecchio continente ed internazionali. Questo ovviamente non c’entra niente con la bontà né con la saggezza, nessuno ci regalerà mai niente, questo scontro è tutto interno alla classe borghese, se gli sfruttati non saranno in grado di organizzarsi e lottare il peso più grande ricadrà comunque su di quest’ultima classe.
Tornando allo specifico caso dell’Europa, possiamo dire che ha provato a riempire lentamente il pozzo senza sbilanciarsi troppo per evitare di cadere, quindi salvando con riserva il proprio sistema finanziario.
Guardando lo stato dell’economia mondiale possiamo dire tranquillamente che nessuna di queste due strategie appena descritte ha avuto successo, questo però non vuol dire che non abbiano generato conseguenze diverse sui paesi che le hanno attuate.
Nel breve periodo gli stati “neoliberisti”, USA-Inghilterra-Giappone, grazie alla liquidità immessa sono riusciti a favorire una forma di crescita ancora una volta incentrata sulla finanza, che ha dato l’illusione ai più che quello fosse il modello giusto per risolvere la crisi. La Fed in varie tornate di Quantative easing, ha iniettato nel sistema finanziario un enorme quantità di nuova moneta ed è intervenuta nella compravendita di asset strategici tra cui i titoli di stato americani e il settore immobiliare (come se fosse realmente possibile riavviare un settore immobiliare del tutto saturo). Questo, lungi dal riattivare una reale ripresa economica, ha solo consentito alle banche di riprendere i loro giochi speculativi e al debito pubblico americano di raggiungere cifre astronomiche. Tutto ciò è stato possibile solo perché la Fed si è trasformata nel primo compratore di T-bond, drogando il mercato e tenendo cosi bassi gli interessi sul debito pubblico USA. Ormai però le diatribe interne tra democratici e repubblicani sulla reale efficacia di questi piani sull’economia reale hanno spostato i riflettori mondiali dalla “crisi europea” alla discussione sull’imminente fine di queste politiche monetarie creando non poco panico a livello delle borse. È bastato dichiarare che un giorno quasi vicino gli aiuti finiranno per affondare i listini di tutto il mondo. Intanto l’entrata in funzione del “sequester”, meccanismo che prevede 1.200 miliardi di tagli alla spesa pubblica in 8 anni, di cui $85.4 miliardi nel solo 2013, non lascia ulteriori dubbi sull’insostenibilità del sistema del debito pubblico americano e mondiale, ora che anche gli USA, forzatamente, stanno attuando una linea simil austerity. Altro enorme problema per l’America generato da questa politica monetaria sfrenata riguarda uno dei pilastri dell’egemonia americana cioè il dollaro. La moneta che dal dopoguerra ad oggi è stata la base degli scambi internazionali non sembra più in grado di preservare un valore costante, accelerando ulteriormente l’utilizzo di monete alternative per il commercio internazionale delle materie prime, dimostrando che uno dei nodi principali del nostro tempo è come ristabilire una moneta accettata da tutti senza passare per un’imposizione, come fu per il dollaro, che necessariamente richiama alla guerra.
Sulla stessa linea d’onda si colloca il Giappone che, spinto dagli USA, si è lanciato in un disperato tentativo finale per un paese con un debito pubblico a più del 220% del PIL, avviando un piano di iniezione di liquidità “abnorme” che porterà al raddoppio della propria base monetaria in 2 anni, abbinato ad un acquisto di euro con il fine di svalutare la propria moneta e rafforzare quella europea e compera infinita di propri titoli di stato.
Gli effetti sull’economia reale delle varie tornate di iniezioni di liquidità americane (fonte: Zerohedge)
Intanto l’Europa è entrata in recessione pagando il conto dell’aver anticipato la svolta antineoliberista e soffrendo per i continui e pesanti attacchi finanziari. Sappiamo che molti storceranno il naso su questa affermazione: come si fa a dire che l’Europa ha intrapreso una strada contro il neoliberismo se l’ideologia dominante continua ad essere sostanzialmente meno stato più mercato? Qui ritorna la realtà del neoliberismo come ideologia che copre uno spostamento di ricchezza dalla periferia al centro del sistema economico; il suo mezzo di sottomissione è il debito, gli agenti il FMI, la Banca mondiale, l’esercito americano… Il fatto che i “tecnici” attuali non conoscano altre soluzioni se non quelle che hanno imparato a scuola è normale, non bisogna farsi ingannare, le politiche tuttora neoliberali sono eredità del passato, un bel po di protezionismo è ormai già entrato in tutte le politiche mondiali. Vista da questa prospettiva il tentativo europeo di liberarsi dalla schiavitù del debito può essere intesa come un strategia “antimperialista” di liberazione dal dominio del vecchio stato egemone e dalla sua struttura globale di saccheggio. Come ha detto la Merkel: ”Come Stato e politici diventeremo indipendenti dalle banche quando non faremo più debiti”. Con questo non vogliamo in nessuna maniera elogiare l’austerity, non potremmo mai esaltare una politica che punisce i deboli e premia i forti, ma solo rimarcare le ricadute delle differenti scelte economiche e politiche che i vari stati stanno prendendo; solo capendo le mosse dei vari giocatori potremmo essere in grado di scegliere razionalmente le nostre. La strada della conoscenza è piena di insidie di cui la peggiore è proprio la propaganda del potere per il potere. Esemplare è il caso del crollo dell’Europa. L’imminente rottura dell’area Euro è stata prevista da vari “esperti” anche europei ormai da 3 anni, ma, nonostante tutto, il vecchio continente è ancora intero e con basi economiche molto migliori della maggior parte dei suoi concorrenti. Questi analisti non sono altro che ingranaggi dell’informazione “imperiale” al soldo del nemico, un tempo sarebbero stati chiamati venditori di patria.
Non neghiamo che il processo di unificazione debba ancora superare molte difficoltà ma un ritorno a nazionalismi statali è osteggiato da praticamente tutta la borghesia europea ormai troppo integrata per poter tornare indietro ad un costo decente. Quello che ci dovrebbe spaventare di più come europei è proprio il contrario, cioè la forza che il nostro continente sta prendendo: in un gioco a somma 0 se noi saliamo altri scenderanno, se ci riusciremo a garantire un benessere elevato rispetto agli altri vorrà dire che l’avremo conquistato con la guerra e lo sfruttamento degli altri, il capitalismo purtroppo non lascia alternative. Lo stesso ragionamento vale anche nei nostri confini in cui ormai è sempre più palese la divisione del lavoro centro-periferia per cui le economie più avanzate europee rapinano il lavoro e le ricchezze di quelle minori.
Proviamo ora ad analizzare che sta succedendo nel resto del mondo. Anche qui la situazione sembra altamente instabile: la produzione cala e la disoccupazione cresce. La Cina, che era considerata l’ancora di salvezza della morente domanda mondiale di beni, comincia a frenare, palesando sempre di più che per il momento nessuno sostituirà il ruolo di compratori che hanno avuto USA ed Europa nell’ultimo secolo. In più sembra ormai sempre certo che anche il dragone si sia lanciato in pericolosi giochi speculativi sopratutto legati al mattone, quando tutto il mondo brindava ai soldi facili anche i “comunisti” non hanno resistito e hanno voluto anche loro partecipare al banchetto, in parte pagheranno le conseguenza di questa scelta. Il Sud America anche se, per buona parte, si è già liberato dal giogo neoliberista da dopo il crollo dei primi anni del XXI secolo, non sembra in grado di svolgere una funzione di locomotiva economica mondiale e già ora si vedono bene i primi sintomi di rallentamento.
Tutto insomma lascia presagire una recessione prolungata, esplosioni di bolle nuove e vecchie e un aumento della competizione a livello globale. Possiamo chiamarlo un forzato ritorno alla realtà.
Quindi riassumendo l’asse americano, spinto dalle proprie élite bancarie, ha scelto di continuare con l’accumulazione finanziaria, come unico e disperato modo per mantenere una forma di egemonia mondiale, mentre l’asse tedesco ha scelto di interrompere il gioco neoliberista, e quindi la sua sudditanza al potere USA, intraprendendo una strada ancora mista e incerta ma che sicuramente tende a sgonfiare la bolla speculativa.
Tra l’inesistenza di tutto l’oro venduto passando per gli enormi e irripagabili debiti pubblici fino ad arrivare alla possibile guerra in Siria\Iran, è difficile se non impossibile definire quale delle tante bolle economiche\politiche esploderà per prima, quello che si può facilmente dire è che, data l’alta instabilità sistemica, appena l’esplosione sarà sufficientemente grande innescherà il definitivo crollo del castello di carte. A quel punto nessuno stato vorrà salvare, ne sarà in grado di farlo, il proprio sistema finanziario sommerso di derivati e titoli spazzatura senza una contropartita molto pesante. È veramente difficile pensare che riescano a gestire il processo di nazionalizzazioni e fallimenti delle principali banche mondiali senza passare per un blocco dei prelievi dai conti e fenomeni insurrezionali “all’argentina”. Probabilmente lì vedremo la borghesia industriale provare a cavalcare la ribellione contro la finanza per cercare di riavviare gli investimenti sul settore produttivo ed evitare cosi che si arrivi a mettere in discussione il capitalismo nel suo complesso. L’impatto sui singoli stati dipenderà anche dalle due strategie che dal 2008 ad oggi si è scelto di adottare, chi ha la maggior parte del PIL dovuto a transizioni finanziarie e in questi anni l’ha ulteriormente accresciuta, come USA-Inghilterra-Giappone, ne uscirà radicalmente ridimensionato (ovviamente gli USA hanno sempre il jolly esercito nella manica…), chi, come la Cina, ha alla base della propria economia un solido sistema produttivo sarà comunque colpito ma in maniera molto minore. L’Europa, avendo già avviato la riduzione del peso della finanza e avendo una situazione finanziaria\produttiva media tra USA e Cina, accuserà il colpo ma probabilmente meno dei suoi diretti competitori americani.
L’unica soluzione che avrebbe potuto forse salvarci dalla catastrofe sociale sotto i nostri occhi sarebbe stata non ripagare i debiti, nazionalizzare le banche fallimentari e le banche centrali ed infine avviare una pacifica trattativa mondiale per una nuova moneta per gli scambi internazionali. Ma questo avrebbe immediatamente dimostrato nella pratica che il neoliberismo non è solo una teoria economica ma principalmente un mezzo di sfruttamento: il vecchio re avrebbe mangiato la carota e usato il bastone…
Le sfide che il pezzo di storia che ci è toccato vivere ci consegna sono tante e importanti, le più imminenti potrebbero essere riassunte in tre punti: forzare sopratutto il capitalismo finanziario ma anche quello produttivo a pagare le conseguenze del loro gioco; evitare che il crollo dell’egemonia americana porti ad una guerra mondiale per la sua successione; costruire nella resistenza al capitalismo un sistema alternativo dal basso e a sinistra.
È finalmente arrivato il momento di buttare dentro al pozzo il capitalismo cioè il responsabile della crisi e dell’insensatezza del mondo che ci circonda, solo così potremo finalmente vivere degnamente
e liberi.
Camillo C.
Ottobre 16th, 2013 at 08:47
Acuta ed interessante analisi, bravo.