La crisi europea: analisi di un panico indotto

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Nel sistema capitalista il tasso di interesse sul debito di uno Stato dovrebbe rappresentare il suo tasso di rischio insolvenza e quindi dovrebbe essere un fedele “specchio” dell’economia di quel paese. Come vedremo, tra maggio 2011 e agosto 2012, lo spread tra i nostri titoli e quelli tedeschi ha raggiunto picchi non giustificabili dallo stato della nostra economia. Si diceva che da li a breve il debito greco avrebbe “contagiato” i debiti dei Pigs per poi colpire le banche ricche di titoli di Stato ed infine avrebbe fatto fallire l’intero progetto Europeo e quindi anche la sua moneta, l’Euro. Tutte queste previsioni si sono rivelate false. In questo articolo cercheremo di provare lo scollegamento tra le basi economiche e lo “spread” italiano ed in seguito cercheremo le vere cause di quella che tutti i media del mondo hanno definito la “crisi europea”.

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Grafico 1

Nel grafico 1 paragoniamo l’andamento dell’interesse sul debito italiano a 10 anni con quello del Pil e della disoccupazione (la scelta di Pil e disoccupazione è solo simbolica, quasi tutti i dati relativi all’Italia sono peggiorati dal picco dello spread). Abbiamo evidenziato con frecce verdi i miglioramenti di un parametro e con frecce rosse i peggioramenti. Da un facile confronto si evince che se l’interesse fosse realmente legato alle nostre basi economiche oggi dovrebbe essere molto più alto del novembre 2011: il Pil è diminuito e la disoccupazione aumentata, in più il debito pubblico è ulteriormente cresciuto. L’instabilità politica, che era stata additata come un’altra importante causa, in questi 2 anni non ha mai smesso di accompagnarci: Monti è caduto e non abbiamo avuto un governo per mesi, tutto ciò senza ovviamente essere obbligati a dichiarare default per questo. Ma allora, se l’economia e  l’instabilità politica hanno continuato costantemente a peggiorare,  perché  il  termometro   del  nostro rischio paese ha iniziato a salire fino quasi a scoppiare ed infine è tornato di nuovo alla “normalità”?  È evidente che le cause vanno cercate da un’altra parte, l’economia da sola non ci può aiutare.

Il panico indotto

Dopo aver chiarito che non è possibile rintracciare un collegamento tra l’innalzamento dell’interesse sui titoli italiani e il rischio paese non rimane che indagare le altre cause, non direttamente economiche, che possono aver innescato la crisi europea. Le premesse sono quelle che abbiamo indicato già in vari altri articoli: la crisi che viviamo è dell’intero sistema capitalista; i debiti creati dal neoliberismo sono tutti non ripagabili, dal nostro fino a quello americano, quindi siamo tutti già “falliti”; l’egemonia americana è finita ed è iniziata la guerra per la sua successione; nessuna delle strategie adottate per risolvere la crisi sta funzionando, l’economia mondiale non sta ripartendo.

Fatte queste premesse, ora ripercorreremo brevemente la storia di quella strana fase alla ricerca di indizi, seguendo gli eventi dagli occhi dei giornalisti che ne hanno scritto. Il grafico 2 riassume visivamente la serie di avvisi (giallo) e declassamenti (rosso) delle principali agenzie di rating, le dichiarazioni ufficiali (nero) di FMI, Casa Bianca, grandi banche anglo-americane ecc. considerate ostili perché volte a creare un panico dimostratosi infondato, ed infine l’ostruzionismo inglese (verde) che, come vedremo, avrà un suo ruolo specifico nell’attacco al vecchio continente. Ad ogni punto corrisponde un articolo catalogato in questo link.

Grafico 2

L’inizio della crisi europea è da attribuire al caso Grecia (anche se le vere origini risiedono nella finanziarizzazione dell’economia che ha portato al primo crack americano del 2008). Il 23 aprile 2010 infatti la Grecia è obbligata dai propri debiti, di oltre 300 miliardi, a chiedere aiuto alla comunità europea e al Fmi, questo evento sarà la miccia che innescherà il panico. Il 27 dello stesso mese l’agenzia di rating Standard & Poor’s declassa la Grecia a livello spazzatura, come aveva già fatto a dicembre Fitch, e il Portogallo di due livelli, le borse europee vanno in picchiata e lo spread sui titoli ellenici schizza a 700 punti base mentre Moody’s rassicura l’Italia: non c’è pericolo. Cosi viene descritta la situazione in un esplicito articolo apparso su “la Stampa” il 28 aprile 2010: “Certo anche gli speculatori ci mettono del proprio, non meno che l’agenzia Standard & Poor’s che, più male di così, all’Europa non poteva fare. Ieri ha segato di ben tre punti il rating sovrano di Atene catapultandolo direttamente tra i junk bond con un drastico B+. In giornata ha tagliato di due gradi anche il rating sul debito di Lisbona (ad A-) decidendo che il Portogallo è l’ottavo paese più rischioso del mondo, il che francamente sembra un po’ eccessivo. Con i suoi netti downgrade l’agenzia ha quindi tracciato una prima bozza di crisi dell’Unione Europea che, da copione, prevede un default della Grecia, un contagio al Portogallo, all’Irlanda e forse all’Italia e, infine, un bel default della Spagna che spaccherebbe definitivamente l’Europa in due per la felicità di euroscettici, nazionalisti e grandi interessati come Stati Uniti e Cina. Bye bye Bruxelles!”.

Lo spettro del “contagio” si diffonde per il mondo tramite i principali giornali economici e non, i comunicati ufficiali del FMI e della Casa Bianca, i premi nobel per l’economia e le banche anglo-americane, come avvertirà JP Morgan “Occhio alle banche europee perché gli istituti tedeschi, francesi, olandesi e belgi più esposti verso l’Europa mediterranea possono a loro volta essere coinvolti nelle perdite”. Il ruolo che le grandi banche anglo-americane hanno assunto lascia pensare ad una seria frattura tra la finanza europea e quella d’oltre oceano: i tempi dell’”Impero” sembrano ormai lontani.

Ovviamente oggi è facile dire che tutte queste previsioni erano sbagliate, il contagio non c’è stato e le banche europee hanno retto (per ora), ma in quei giorni la sensazione che l’Europa non ce l’avrebbe fatta era l’argomento principe di quasi tutte le discussioni. A fine 2010 le agenzie di rating, che precedentemente avevano rassicurato l’Italia, cominciano a mettere sotto osservazione l’economia Italiana e quella degli stati più esposti sui debiti di Grecia, Portogallo e Irlanda. A gennaio 2011 S&P’s declassa in contemporanea 9 stati europei, tra questi l’Italia. Da li in poi sarà un susseguirsi di avvisi (in molti casi con effetti devastanti su borse e spread) e di effettivi declassamenti che culminerà tra settembre e novembre con il declassamento di 9 banche, 11 comuni e dei bond italiani obbligando la BCE ad intervenire nuovamente, dopo la calda estate, direttamente nell’acquisto dei titoli di stato periferici.

Intanto, in quello che ormai possiamo chiamare a tutti gli effetti attacco all’Europa, compare una nuova protagonista: l’Inghilterra. Se il ruolo delle agenzie di rating, dei giornali, del FMI e amici era quello di creare uno stato di panico sul futuro dell’Europa, quello dell’Inghilterra si potrebbe definire sabotaggio interno. Nel pieno della crisi una sessantina di deputati inglesi alza la polemica sull’adesione all’Europa proponendo un referendum, mentre Cameron fa ostruzionismo dall’interno delle varie riunioni di emergenza europee, che accompagneranno tutto il periodo, portando addirittura Sarkozy a dichiarargli: “Siamo stanchi di te, non fai altro che criticare. Dici che non ti interessa nulla dell’Euro e poi pretendi di interferire nei lavori dell’incontro. Hai perso una buona occasione per stare zitto”(24/10/11). Ad aver fatto infuriare il leader francese era la pretesa di Cameron di far avere voce in capitolo sul pacchetto di salvataggio degli stati in difficoltà anche ai paesi che non adottano l’euro come moneta.

Intanto la paura raggiungeva picchi esagerati portando lo spread italiano a livelli superiori di quelli pre intervento BCE. “Sui mercati si e’ diffusa la voce che sia stata Goldman Sachs a innescare l’ondata di vendite di Btp, poi seguita dagli hedge funds e dalle altre banche d’oltreoceano.” riportava il 10 novembre Milano Finanza. Siamo all’apice della crisi, a novembre 2011, a quasi nulla serviranno le dimissioni di Berlusconi, a cui seguirà un nuovo picco dell’interesse. Meriterebbe un approfondimento a parte la posizione di Deutsche Bank che tra il 31 dicembre 2010 e il 30 giugno 2011 ha venduto 7 miliardi di titoli di stato italiani, contribuendo cosi in parte alla salita del nostro spread. Certo è che risulta veramente complicato inserire questa banca, e nel complesso la Germania, nel piano di attacco all’Europa, come si vede in questo grafico anche la principale banca tedesca in quel periodo ha sofferto enormi perdite in borsa come d’altronde tutto il settore finanziario europeo. Sembrerebbe molto più realistico pensare che Deutsche Bank abbia deciso di scaricare l’Italia per una reale paura di crollo. Da indagare ulteriormente sarebbe invece la possibilità che questa situazione sia stata sfruttata da parte delle elites tedesca e francese per gerarchizzare ulteriormente la struttura economica e politica del vecchio continente.

L’8 e il 9 dicembre, per cercare di arrestare il “contagio”, viene fissato un consiglio europeo d’emergenza : “nell’imminenza del Vertice europeo di giovedì e venerdì, appuntamento cruciale per l’Ue, per l’euro e, quindi, pure per l’Italia, Standard & Poor’s, una delle agenzie di rating che, con le loro pagelle, condizionano i mercati, fa sapere che tutti i Paesi dell’euro, anche la Germania e la Francia, rischiano il declassamento…a leggerlo come appare, è un agguato alla moneta unica, mentre il segretario al tesoro (americano) Timothy Geithner va in giro per l’Europa a dare lezioni…” (ilFattoQuotidiano 7/12/11). Ovviamente anche questo decisivo vertice europeo viene bloccato dall’Inghilterra: “Il Consiglio europeo non è riuscito nella notte tra giovedì e venerdì a mettersi d’accordo su una riforma dei Trattati a 27, a causa di Londra che ha bloccato questa possibilità.” (Sole24ore 9/12/11) “L’annuncio in parte prevedibile del premier inglese David Cameron, pronto a mettere il veto dell’Inghilterra sulla revisione “salva-euro” del trattato di Lisbona in quanto «mancano garanzie sufficienti per la City londinese», ha creato una spaccatura” (Economiaweb  9/12/11). Stessa sorte toccherà alla Tobin Tax sulle transazioni finanziarie, la City non poteva proprio accettarla. Se non è sabotaggio questo non si sa in che altro modo si possa chiamare.

Intanto siamo arrivati agli inizi del 2012, proprio quando la paura sembrava rientrata, sono sempre le agenzie di rating a preparare la nuova impennata dello spread, tra gennaio e febbraio verranno declassate 34 banche italiane e il nostro rating sovrano di due gradini, il motivo è che vengono giudicate: “non sufficienti le misure che l’Unione Europea ha preso per gestire la crisi economica internazionale, declassando ben nove paesi su sedici nel vecchio continente.” Il Fondo monetario alza: “L’Italia non può farcela da sola” e Bernake dalla Fed schiaccia: “situazione europea resta difficile, crisi non superata”. Krugman e il suo nobel per l’economia lanciano lungo:“L’Europa è al capolinea: in un mese Grecia fuori dall’euro e conti correnti bloccati in Spagna e Italia” (14/4/2012), e Moody’s conclude: “declassate ben 26 banche italiane, tra cui figurano anche cinque grandi gruppi bancari del Bel Paese.”. In un bel gioco di squadra i nostri giocatori riusciranno a far tornare l’incubo default, la tattica è chiara, sfruttare gli anelli deboli per cercare di minare la fiducia nella sostenibilità dell’intera comunità europea. L’Euro e l’Europa devono fallire.

Finalmente dalla procura di Trani qualcuno si accorge che:“Standard & Poor’s mirava a destabilizzare l’Italia. Fornivano intenzionalmente ai mercati un’informazione falsa in merito all’affidabilità creditizia italiana, in modo da disincentivare l’acquisto di Btp e deprezzarne il valore” e aprirà un’inchiesta ancora in corso. Questo non basterà a fermare il secondo tentativo di attacco: la Fed incolpa l’Europa della crisi mondiale e delle sue ricadute sulla “ripresa” americana e il Fmi si permette di dichiarare:“A rischio la sopravvivenza dell’eurozona.” e a seguire la solita serie di declassamenti di banche, enti pubblici e stati da parte delle agenzie di rating. L’innalzamento dello spread che questo nuovo panico genererà non raggiungerà mai i livelli di novembre 2011 perché sarà definitivamente (almeno fino ad oggi) fermato dall’ennesima prova del fatto che la BCE ha sia la possibilità che la volontà di intervenire in caso di necessità.

Conclusioni

Da quanto fin’ora detto possiamo concludere che il generale innalzamento dello spread che ha colpito l’Europa e l’Italia tra il 2011 e il 2012 non è stato il sintomo di un loro reale rischio di fallimento ma è stato solamente il risultato del panico creato ad arte da un attacco congiunto che ha visto protagonisti i governi americano ed inglese, il FMI, le banche anglo-americane, i fondi speculativi, le agenzie di rating e i principali mezzi d’informazione mondiali. La strategia è stata quella di attaccare i punti più deboli della comunità europea, dalla Grecia ai vincoli della BCE, dall’instabilità italiana al contagio dei debiti periferia-centro, con lo scopo di giustificarne il crollo. Non può essere ridotto ad un colpo di stato contro Berlusconi come a qualcuno piace pensare, e questo è provato dai successivi picchi dello spread e dall’estensione europea del fenomeno, né un modo per la finanza mondiale di imporre l’austerity, lo scontro fratricida tra banche americane ed europee e le enormi perdite in borsa delle seconde che questo ha provocato ne sono la prova. Il grafico sottostante confronta le quotazioni in borsa delle tre principali banche americane con la prima inglese e le più grandi banche dei quattro più importanti Stati europei: gli effetti della crisi europea, almeno in borsa, non sembrano lasciare ulteriori dubbi su chi ne abbia beneficiato.

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Quello a cui abbiamo assistito è probabilmente il più potente tentativo dell’elite americana di scaricare il cerino della crisi sistemica mondiale ad uno dei suoi maggiori contendenti, l’Europa, ed affossare cosi una delle principali rivali al dollaro come moneta degli scambi internazionali, l’Euro. Con questo non vogliamo in nessuna maniera giustificare né entrare nel merito della “questione europea”, cioè se sia meglio per noi uscirne o rimanerci, ma semplicemente tentare di riportare un minimo di verità in una marea di propaganda strumentale. Data la complessità del tema e l’incertezza dei dati non pretendiamo di essere arrivati a conclusioni del tutto certe e definitive, per questo chiediamo a tutt* di partecipare a questa analisi criticando, commentando e mettendo in luce eventuali contraddizioni.

Viviamo ingabbiati in un sistema che ci obbliga ad una stupida competizione; avremmo sia le conoscenze che le materie prime per creare finalmente un mondo cooperativo, cosi da evitare lo sfruttamento e la guerra tra i popoli, ma gli interessi dei pochi che ne giovano valgono più di milioni di vite. Non lasciamoci invischiare nella loro guerra, la nostra battaglia deve essere per la Pace e quindi per la creazione di un nuovo sistema.


2 Responses to “La crisi europea: analisi di un panico indotto”

  • Gaetano Morgante

    Una diversa lettura degli eventi, o meglio la realtà dei fatti vista da una certa angolazione, non del tutto sbagliata, ma nemmeno corretta e completa. Che gli Stati Uniti non abbiano mai visto di buon occhio l’euro in quanto possibile antagonista come valuta di riserva mondiale è fatto assodato, che gli Stati Uniti siano alla base del crollo dello spread che avvenne, guarda caso, il giorno dopo che Berlusconi paventò alla Merkel la possibile uscita dell’Italia dall’euro e , guarda caso dopo che la Deutsche Bank vendette a piene mani e per prima i BTP in suo possesso, mi sembra azzardato. Chi telefonò a Napolitano per imporgli Monti come presidente del consiglio protempore? La Merkel. A questo punto tutto può essere e tutto si può incrociare, ovvero chi ha fatto pressioni sulla Merkel? Le banche d’affari americane? Monti è risaputo che non fu certo un Presidente messo lì per governare l’Italia, ma solo per garantire la solvibilità dell’Italia nei confronti dei Paesi e banche che detenevano i nostri BTP. L’euro non si può salvare se i Paesi aderenti per mantenerlo in vita devono sprofondare in una recessione perenne. L’inghilterra è da sempre, senza se e senza ma nell’orbita del dollaro, ma dire che sta remando contro l’euro semplicemente perché non lo ha adottato come moneta nazionale è semplicistico e significherebbe che anche tutti gli altri Paesi che non hanno adottato l’euro, e sono parecchi, l’hanno fatto per appoggiare gli USA nella guerra contro l’euro, cosa francamente fantasiosa. La realtà mi sembra un tantino diversa, i problemi che ha creato l’euro sono reali, come reali sono i problemi creati dalla globalizzazione, come reali sono i problemi creati dai vincoli di bilancio imposti dalla BCE nell’ottica della riduzione del debito pubblico dei Paesi aderenti alla moneta unica. Lo spread italiano è salito inizialmente ad opera della Germania per detronizzare Berlusconi reo di aver minacciato la fuoriuscita dell’Italia dall’euro, i problemi alla Grecia li ha creati la moneta unica e la globalizzazione, non gli USA, al massimo gli USA hanno cavalcato gli errori commessi dall’Europa con la moneta unica e la globalizzazione, ma gli errori li abbiamo commessi noi e sono reali, non sono frutto di valutazioni taroccate da parte delle agenzie di rating. Potrebbe esserci in tutto questo una polpetta avvelenata, ovvero l’aver incentivato l’apertura della UE alla globalizzazione nel 1998 sapendo che di lì a poco sarebbe nato l’euro, nella consapevolezza che le due cose assieme avrebbero distrutto i Paesi dell’area mediterranea a vocazione manifatturiera. Ma anche questa può essere una visione parziale ovvero può essere che la globalizzazione fosse considerata positiva dagli USA nella consapevolezza che per la UE sarebbe stata un disastro tranne che per la Germania.

  • Giovanni Decata

    L’analisi è ampia, e le premesse sono abbastanza esplicative. Purtroppo tenere dentro tutto è difficile se non impossibile, soprattutto dato che molti dati o avvenimenti non saremo mai in grado di conoscerli veramente.
    credo però che un aspetto non sia stato considerato, e cioè, per dirla brevemente, l’ignoranza e sudditanza della maggior parte dei giornalisti main stream di questo paese…

    per rispondere a Gaetano invece io non credo che gli USA abbiano semplicemente paura dell’euro come moneta di scambio e riserva, ma si percepisce oramai in maniera palese che assumano sempre più il ruolo di leader in decadimento. Se fino ad oggi potevano permettersi di osare quel che volevano, avendo l’appoggio di oltre mezzo mondo, ora nn possono più farlo…

    a dimenticavo, molto interessante la lista di links, dimostra proprio quello che dite…

    Grazie

    Giovanni