Non siamo il vostro Scudo

dlfemm2Ancora una volta nel nome delle donne vengono approvate leggi che, alle donne, non portano nulla di positivo. L’approvazione del ddl sul femminicidio ripropone subdolamente logiche patriarcali, deprime e indebolisce le donne nella possibilità di autodeterminarsi e nasconde l’approvazione di norme securitarie che mirano a punire il dissenso. Cosa questo abbia a che fare con la sicurezza della donna è alquanto difficile da capire.

Nonostante le sempre più numerose discussioni sulla violenza sulle donne e sul femminicidio, sia da destra che sinistra, la realtà dei fatti è che si continua in questo paese a farsi scudo col corpo delle donne, demolendone anche la possibilità di autodeterminazione. Esempi sono il “Giardino degli Angeli”, realizzato lo scorso anno a Roma dalla giunta Alemanno e a Firenze quest’anno per: “feti che non siano stati dichiarati morti, per i prodotti abortivi e quelli del concepimento” o come per il caso della donna italiana “costretta” a partorire in Inghilterra che ha visto portarsi via la figlia in base all’ordinamento legislativo anglosassone.

 Questa volta si parla di dare dignità ad un feto, andando cosi a minare la legge 194 e con questa il diritto alla salute di tutte le donne, oltre a causare un’ulteriore violenza psicologica per tutte coloro che affrontano la difficile scelta dell’interruzione volontaria della gravidanza.

 L’autodeterminazione ed emancipazione della donna (e di qualsiasi altro soggetto) necessitano una riflessione sul loro significato, su cosa comportano e sul loro ottenimento in situazioni di difficoltà (link). Su questo ultimo punto ciò che veramente è necessario per tutelare, in prima istanza, una persona che si trovi in una situazione di difficoltà è offrire una rete di supporto, ma contemporaneamente deve essere garantita anche un’indipendenza economica tale da poter permettere l’uscita da situazioni di subordinazione agli altri e allo Stato.

Le lotte femministe, lgbtqi e dei migranti degli ultimi anni hanno fatto emergere come le situazioni di subalternità dei soggetti più deboli derivino da due cause che concorrono a creare oppressione: lo sfruttamento economico della forza lavoro, che non permette una indipendenza economica, e l’aspetto culturale (patriarcato, xenofobia, omofobia e transfobia).

Le iniziative spesso prese dai governanti si riducono a “pacchetti sicurezza”, volti alla criminalizzazione e alla gestione repressiva di situazioni emergenziali. Ultimo provvedimento di questo tipo è il decreto legge sul femminicidio, il cui scopo dovrebbe essere il contrasto al fenomeno della violenza sulle donne, ma dal quale emergono alcune questioni preoccupanti, che sottolineano tutta l’ipocrisia con cui è stato concepito questo decreto.

La prima cosa che fa sorridere è che il decreto sul femminicidio non sia stato firmato da un/a Ministr* per le Pari Opportunità, ma che i primi firmatari siano il Ministro dell’Interno e della Giustizia. Questo, insieme al fatto che non si sia sentita l’esigenza di trovare una persona che sostituisse la dimissionaria Josefa Idem (su cui potremmo aprire una parentesi circa il “peso politico” delle Pari Opportunità rispetto alla Giustizia espresso dalla disparità di comportamento e di “copertura politica” rispetto alle vicende Idem-Cancellieri), è il primo indicatore di come sia trattato l’argomento da chi ci governa e di quanto sia sentita la questione dalla classe dirigente nazionale.

Il secondo punto critico, che invece fa molto preoccupare, è l’aver creato una legge con tutte le caratteristiche di un nuovo pacchetto sicurezza, volto quindi a curare un’emergenzialità. Le leggi securitarie che si sono succedute in questi anni non ci sono mai piaciute perché sono volte ad un controllo sempre più stringente sulle persone e sul territorio, criminalizzano gli stranieri migranti insieme alle comunità Rom e Sinti e allargano la condanna a chiunque esprima dissenso. Alla luce dell’esperienza avuta a valle di tutti i provvedimenti presi fin’ora, possiamo affermare che trattare questo tema come emergenza è sostanzialmente inutile e dannoso. In particolare distoglie l’attenzione dal vero soggetto della discussione, cioè come contrastare ogni tipo di violenza e discriminazione di genere, finendo per spostarla su una dimensione collettiva di eliminazione di allarme sociale, come è possibile leggere nelle motivazioni ad introduzione della legge: “Ritenuto che il susseguirsi di eventi di gravissima efferatezza in danno di donne e il conseguente allarme sociale che ne è derivato rendono necessari interventi urgenti”.

Sempre sulla linea dell’allarme sociale e dell’emergenzialità, il decreto si occupa anche del controllo del territorio, dei furti e della Protezione Civile; in tutti e tre questi casi vengono affrontate questioni che sempre più spesso i media trattano con enfasi e toni allarmistici.

Si criminalizzano i contestatori che si oppongono con “cieca violenza” alle decisioni dello Stato, si sferra un duro attacco a tutti quei movimenti di tutela del territorio, con particolare riferimento alla contestazione del TAV in Val di Susa, ma che facilmente si generalizza ad altre lotte come quella nascente contro il Muos in Sicilia.

I furti e in particolare quelli “di componenti metalliche e di altri materiali pregiati (ad esempio il rame)” sono trattati come emergenza, senza indagare le ragioni che possono portare ad azioni di questo tipo. Si dovrebbe forse analizzare il disagio sociale piuttosto che parlare di allarme, creare politiche di inclusione sociale, lotta alla disoccupazione e assistenza sotto forma di welfare, ma come al solito si reprime e basta.

Infine, si accentua il ruolo della Protezione Civile nell’affrontare le situazioni di emergenza nonostante, ormai da vari anni, le realtà territoriali chiedano a gran voce provvedimenti rivolti alla prevenzione di tali emergenze. È storia di questi giorni l’emergenza tarantina e sarda che ha visto territori e popolazioni in ginocchio a causa dell’abusivismo e della totale mancanza di prevenzione idrogeologica.

Una sintesi non esaustiva delle criticità maggiori della legge in questione è:

  • La violenza sulle donne non è una questione emergenziale, ma una situazione che trae origine da una situazione culturale di stampo patriarcale e da un sistema economico di tipo capitalista, che trova parte della sua forza nell’oppressione dei soggetti più deboli.
  • Finchè lo Stato tratterà le donne come un soggetto debole, che necessita di tutela e quindi finchè non si comprenderà la distinzione tra tutela dei diritti della vittima e tutela della vittima, non si potrà compiere l’autodeterminazione del soggetto donna (come afferma la Convenzione di Istanbul).
  • È importante dotare di pari dignità e diritti le donne italiane e straniere, con particolare attenzione alle vittime di tratta, oramai completamente dimenticate dalla legge. Altra importante carenza è la mancanza di strumenti per proteggersi dalle violenze operate dalle forze dell’ordine, che avvengono spesso in contesti dove i diritti basilari sono già duramente messi a repentaglio come le carceri e i CIE.
  • L’erogazione di fondi saltuari non è sufficiente, occorrono investimenti strutturali che permettano di aiutare il lavoro dei centri antiviolenza che sempre più spesso versano in situazioni pessime e sull’orlo del collasso.
  • È necessaria un’operazione culturale forte che elimini gli ostacoli all’autotutela e alla difesa di qualsiasi soggetto che abbia subito violenza.
  • In ultimo, ma non per importanza, usare strumentalmente la lotta alla violenza offende non solo tutte le donne, ma tutti coloro che operano in questo settore e che vedono sminuito il loro impegno, ai fini di un’affermazione di potere dello Stato sempre più paternalista.

Per concludere, vorremmo fare una piccola riflessione sullo sciopero indetto in tutta Italia in occasione della Giornata contro la Violenza sulle Donne. Le ragioni che portano ad un’azione di questo tipo sono importanti: porre l’accento sulle tematiche discusse fin qui e quindi condurre una severa critica al Decreto Legge e puntare l’attenzione sull’importanza del ruolo della donna all’interno della società, sia esso espresso come lavoro salariato, che come lavoro domestico. Sottolineare il grande contributo che le donne apportano alla società e come questo spesso sia sottovalutato o sottostimato, è senz’altro un atto meritorio. Quello che però rischia di rappresentare è una contrapposizione verso l’altro (in questo caso verso l’uomo) che non facilita certo la dura lotta verso l’uguaglianza. Ciò che ci preme sottolineare è che solo dall’unione delle lotte si riuscirà in maniera efficace a combattere un sistema oppressivo: la sfida è quindi riuscire a portare le singole istanze in un’unica lotta che contesti la situazione attuale e che permetta la liberazione di tutti i soggetti sfruttati.


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