Il biopotere: la morale di quelli di sopra

15 dicembre 2007Articolo di Sergio Rodríguez Lascano, direttore di Rebeldia, tradotto da RESISTENZA ANTISISTEMA.

Il pianeta terra sotto la logica del capitale si dirige alla catastrofe. La ragione è facile:il capitalismo è una formazione sociale che vive in funzione del guadagno immediato, quello che ora si conosce come produzione just in time; tutto è strutturato in base a questa fretta, e per questo, non ha nessuna preoccupazione per il futuro, allo stesso modo per il quale non gli importa del passato. Il borghese è, normalmente, un ignorante che pensa che, prima di lui e dopo di lui, non c’è nulla. Tutto il “progresso”, per lui, vale a dire, l’avanzamento tecnologico, è sottomesso alla considerazione precedente. Serve unicamente in funzione del profitto. Tutto il “progresso” implica il furto di tempo di lavoro altrui come diceva Karl Marx, il quale aggiungeva: le fonti di ricchezza scoperte si trasformano, per uno strano maleficio, in fonti di esproprio.

Le quattro ruote della carretta capitalistica riassumono questa problematica: sfruttamento e esproprio hanno a che fare con le contraddizioni economiche; disprezzo e repressione comprendono  il secondo tipo di contraddizioni. Le prime due hanno un contenuto di classe diretto , tanto nel terreno della classe lavoratrice, come in quella dei contadini e degli indigeni. Entrambe rappresentano il cuore del sistema capitalista nella sua fase attuale. Le due ultime cercano di collocare gli effetti politici e sociali  delle prime due. Il disprezzo è il meccanismo per il quale il capitale affronta la società nel suo complesso:indigeni,donne, giovani, altri amori, bambini, anziani, studenti, etc. Per questo, la nostra lotta non è solamente contro le relazioni sociali di produzione capitalistica, ma anche contro le relazioni sociali nel complesso, che il capitalismo ha generato.

Questo non vuol dire che vada eliminata una gerarchizzazione dentro alle contraddizioni, conflitti o antagonismi, pero questa va determinata in funzione della lotta e non di un preconcetto teorico. E anche  se l’analisi di classe rimane fondamentale, non va impoverita riducendola solo a quella della classe operaia industriale. In tutti i casi, sarebbe buono recuperare quella del proletariato: tutti quelli  che non possiedono nulla di più della loro forza di lavoro.

È vero che viviamo un cambio di epoca, è vero che l’organizzazione politica e militare del capitalismo non è uguale a quella che esisteva prima. Però questo non ci può far pensare che, tutti questi cambiamenti, si spieghino  in funzione dei cambi che in alto promuovono. Specialmente, la crisi dell’imperialismo solamente può essere spiegata in funzione della lotta dei popoli. Come l’impressionante lunga marcia in Cina, o l’altra gran lunga marcia, quella dei popoli d’india per cacciare gli inglesi dal loro territorio, o l’insurrezione nella Qasbah in Algeria, e l’organizzazione di un paese\ un popolo in vietnam, che procurò la prima gran sconfitta all’esercito americano, generando la convinzione che si si può, o il movimento 26 di luglio a Cuba, che rappresenta nella mia modesta opinione l’impresa più grande nel nostro subcontinente, impresa che si rinnova giorno dopo giorno, e che molte volte non si valuta in tutta la sua importanza. O anche l’insurrezione del popolo dell’Iran contro una modernità escludente, indipendentemente a chi la si imputa, o la rivoluzione sandinista, fatta dal popolo di Sandino e specialmente realizzata da bambini di 14 anni, autentici Gavroche, e fratelli di quelli che nella città di Oaxaca alzarono una barricata all’incrocio dei 5 Segnores. La crisi dell’imperialismo, e per questo, i cambiamenti che si sono vissuti nella forma di dominio, hanno questa origine, e non una semplice attitudine visionaria di un presidente.

La nuova forma di dominio

“Nell’epoca moderna, lo stato nazionale è un castello di carte contro il vento neoliberale. Le classi politiche locali giocano ad essere sovrane sulla decisione sulla forma e sull’altezza della costruzione   , però il potere economico è già da tempo che ha smesso di interessarsi a questo gioco, e lascia che i politici locali e i loro seguaci si divertano, con un mazzo di carte che non gli appartiene.  Dopo di tutto, la costruzione che interessa è quella della nuova torre di Babele, mentre non manchino materie prime per la sua costruzione (è dire, territori distrutti e ripopolati con la morte), i capisquadra e i commissari delle politiche nazionali possono continuare con lo spettacolo(sicuro il più caro del mondo e quello di minor contributo). È la nuova torre, l’architettura è la guerra al differente, le pietre sono le nostre ossa, e la malta il nostro sangue. Il gran assassino si nasconde dietro al gran architetto (che, se non si autonomia “dio”, è perché non vuole peccare di falsa modestia).” (subcomandante insurgente marcos “la otra geografia”)

  1.  Le vecchie citta industriali con grandi concentrazioni di lavoratori, come la gran fabbrica, stanno cedendo il posto ad un nuovo tipo di lavoratore, ad un nuovo tipo di investimento, e la costruzione di nuove megalopoli multietniche, dove gli operai industriali sono una minoranza e i lavoratori dei servizi e gli atipici sono la maggioranza, dove le fabbriche si montano o smontano per la volontà del capitale, o si spostano, o navigano – come le fabbriche barche – da un posto ad un altro.
  2.  Un processo selvaggio di urbanizzazione: nel 1950 esistevano 86 citta nel mondo con una popolazione superiore al milione. Oggi ce ne sono 400, e nel 2015 ce ne saranno almeno 550. Nel 2025, d’accordo con il Far Eastern Economic Rewiew, solo in Asia potranno esistere 10 o 11 città abitate da più di 20 milioni di abitanti, tra le quali si troverebbero Yakarta, con 24,9 milioni o Dhaka con 25 milioni. Shangai , la cui crescita era rimasta congelata per decenni, per causa delle politiche maoiste di intraurbanizzazione intenzionata, potrebbe contare con un totale di addirittura 27 milioni di residenti in un enorme regione metropolitana sull’estuario. Già si prevede che Mumbay raggiunga una popolazione di 33 milioni.
  3.  Una crescente migrazione, dalla campagna alla città e dai paesi più poveri verso le megalopoli capitalistiche. Al pari si sta assistendo ad un processo quasi inesorabile di invecchiamento delle popolazioni dei paesi ricchi. Al di là dei gridi altisonanti di manciate di borghesi e piccoli borghesi disperati, l’immigrazione e la riorganizzazione del lavoro, in questa parte di mondo, ha già un carattere strutturale: per l’anno 2004, negli stati uniti ed in Canada, già erano presenti 48 milioni di migranti, mentre in Europa 64, in Asia orientale 22,6, in Asia subcentrale 24,4. questi migranti giocano una triplice funzione: da una parte rappresentano la mano d’opera economica delle grandi megalopoli, ciò  permette di aumentare il tasso di sfruttamento e castigare i salari del resto dei lavoratori; dall’altra, l’inviare una buona porzione dei loro ingressi ai paesi di origine, rappresenta una parte fondamentale  dell’entrata di moneta e mantengono , in grande misura, le economie di questi paesi; e finalmente , rappresentano uno strumento formidabile per ottenere la realizzazione delle merci delle imprese transnazionali, nello specifico in ciò che ha a che fare con i beni di consumo immediato e duraturo. Oggi, la riproduzione ampliata del capitale è garantita dall’esistenza di questo esercito di lavoratori.
  4.  Un processo di distruzione\spopolamento, ricostruzione\ riordinamento tale e quale a quello segnalato dal subcomandante marcos:” il vecchio territorio omogeneo non esiste più , è stato distrutto. Alcune volte perché bombardato; pero altre, la maggioranza, per i piani di adeguamento strutturale o per i documenti di intenzione firmate dal FMI, o per l’esplosione di bolle speculative, o dall’attacco al fondo di pensioni, o con l’eliminazione dell’economia tradizionale con la trasnazionalizzazione della stessa, o con il pagamento saccheggiatore del debito estero”.
  5.  Esistendo un processo di estinzione del vecchio territorio omogeneo, lo stato nazione, la città-industria, le enormi fabbriche, tendono a sparire, perché parte del vecchio modello fordista di dominazione, e con quelli, il complesso delle istituzioni legislative e giudiziali. Succede lo stesso nelle istanze di mediazione: i grandi partiti di massa con interessi sociali definiti, i grandi sindacati, tanto significativi nel passato, le vecchie organizzazioni contadine e fino alle più moderne organizzazioni non governative (che, presumibilmente, furono create per occultare il processo di abbandono della politica sociale da parte dello stato). Il neoliberismo, in prospettiva, esigerà sempre più regimi politici deboli, per quello che riguarda l’economia e la responsabilità sociale, e forti per quello che ha che vedere con la sicurezza, dove l’ordine regni sotto il mantello di uno stato di diritto disegnato in funzione degli interessi dei signori del denaro.
  6.  Una nuova divisione internazionale del lavoro, un processo di delocalizzazione della mano d’opera e dell’investimento diretto di capitale , e con questo , la conformazione di un esercito industriale di riserva completamente mondiale. Cosi, mentre in tutta Europa, nel 2005, il complesso dei lavoratori era di 170 milioni, in Cina i lavoratori industriali ammontavano a 250 milioni, 60 milioni di più di quelli che c’erano negli Stati Uniti. Dal 1985 al 2005 il numero di lavoratori nelle imprese multinazionali, nei paesi chiamati sottosviluppati, passo da 7 milioni a 25, e la percentuale di questi in relazione al complesso dei lavoratori di queste imprese, si triplico dal’11 al 33 per cento.  Le marche multinazionali stanno realizzando un processo di delocalizzazione dei propri investimenti, e per di più del lavoro, cercando mano d’opera economica, paradisi fiscali, eliminazione della regolazione,etc. Non è lo stesso pagare 50 centesimi di dollaro l’ora, come fanno in vietnam, o in Cina, o in india che pagare a 13 dollari l’ora, come si fa negli stati uniti. Tutto questo genera una seri di processi multipli, una riorganizzazione dell’esercito internazionale di riserva, che, insistiamo, oggi è completamente mondiale; anche una caduta tendenziale del salario, ugualmente nell’ambito mondiale; una perdita del peso sociale dei sindacati tradizionali; una crisi dei vecchi partiti operai; una nuova migrazione interna, nel caso dei paesi più poveri, dalla campagna alla città. Solo in Cina, si calcola che dal finale della decade passata  si sono spostati verso la città , circa 300 milioni di cinesi, e che verso l’anno 2020 si saranno spostati altri 250;  e naturalmente, come già abbiamo detto, la crescente migrazione verso le megalopoli imperiali.
  7.  La riorganizzazione del lavoro, che ha minato la vecchia cultura operaia e la vecchia organizzazione fordista dei lavoratori, in uno dei processi più brutali, in tanto ha significato la combinazione di varie dinamiche: a)l’utilizzo di una tecnologia risparmiatrice di mano d’opera, che ha come principio l’esproprio del sapere operaio;b) la riorganizzazione del lavoro, flessibilizzando tutte le categorie, che comprende quella che era la tradizionale separazione tra lavoro manuale e intellettuale, l’introduzione della produzione Just in Time, i metodi di lavoro sotto stress (Kan ban) e il concetto di equipe, specialmente nelle grandi imprese transnazionali e in alcune maquiladora; c) il ritorno a vecchi metodi di organizzazione della produzione: lavoro a domicilio, schiavismo, lavoro minorile – nel settore cottimista – e in alcune imprese dedicate al mercato interno, le galline vengono messe in una gabbia, mai in tutta la vita escono da questa gabbia, si mangiano i propri escrementi, che sono rielaborati e le loro estremità si atrofizzano; ciò lo stiamo già vedendo nelle già tristemente celebri fabbriche-dormitori o fabbriche-carceri, dove i lavoratori, che molte volte sono bambini, vivono reclusi dietro le sbarre; e) salari che non arrivano a garantire la riproduzione della forza di lavoro come tale, partendo dal criterio che esistono migliaia di milioni di lavoratori eccedenti, che possono lavorare in cambio di salari da fame. Il che significa l’eliminazione del riposo indispensabile alla forza lavoro, già che una parte sempre più importante di lavoratori si vede obbligato ad avere due giornate di lavoro; f) tutto questo ha significato un furto quasi generale dei diritti del lavoro, nel mezzo di una condizione di totale svantaggio del lavoro contro il capitale.
  8.  Cosi si è attivato un processo di sovrasfruttamento del lavoro, sia agricolo che industriale, mai visto prima. In questo modo in Messico, secondo uno studio realizzato dal Centro di Studi Multidisciplinario, mentre nel 1978 si usavano 3 ore e 22 minuti come il tempo destinato a coprire le entrate dei lavoratori, nel 1989 richiese unicamente 2 ore con 5 minuti, nel 1994, 38 minuti, nel 1997, 25 minuti, nel 2000, 18 minuti e nel 2004, 13 minuti.
  9.  L’implementazione dell’esproprio è l’altra coordinata della distruzione che sta portando avanti il neoliberismo capitalista. Se analizziamo quello che è successo in Messico dal 1988, per lo meno, vedremmo come si è realizzato questo processo di esproprio. La riforma salinista all’articolo 27 della costituzione, che ha messo la terra nel mercato e ha minato la proprietà comunitaria sulla stessa, per non parlare dell’eliminazione pratica della definizione del fatto che tutto il suolo e il sottosuolo erano proprietà della nazione, tale e quale a come era stabilito dalla costituzione. Le riforme delle leggi del lavoro che hanno permesso l’eliminazione di una serie di garanzie per il lavoratore. L’approvazione di una contro riforma indigena, che nega il diritto delle comunità a controllare il proprio territorio, rifiutando di riconoscere ai popoli indios come soggetti di diritto. L’appropriazione da parte del gran capitale delle risorse petrolifere e della produzione di gas e elettricità, e incluso dell’acqua. Oggi, già il 23 per cento della produzione di petrolio è in mano di imprese private e lo stesso succede per il 30 per cento della generazione di elettricità. La totale subordinazione del peso in relazione al dollaro. L’utilizzo di una parte di mano d’opera che oltrepassa la frontiera come lavoratori schiavi o l’assunzione di bambini per lavorare nelle maquilas. Tutto ciò ha rappresentato un’aggressione globale contro l’economia morale dei messicani, e specialmente delle comunità indigene e contadine, con il quale si ha cercato di distruggere una razionalità e una forma di organizzazione sociale differenti, più armoniose, dove non solo si producono materie prime, ma anche , prima di tutto, relazioni sociali più giuste e libere. Ugualmente, l’uso della borsa dei valori e delle banche, già tutte in mani private, come fonte d’esproprio per via dell’IPAB. Altri espropri, più sottili però non meno significativi, che mirano ad eliminare qualsiasi tipo di rappresentazione collettiva e\o comunitaria, convertendo l’individuo-cittadino in cliente dello Stato, sotto un discorso ideologico di supposto anticorporativo, però in realtà aventea come veritiero fine quello di governamentare la vita sociale.
  10.  In ultima istanza ciò che stiamo vivendo è la guerra per l’esproprio e lo sfruttamento. Questa guerra in alcune situazioni , ha come motivo l’acqua, o il gas, come in Bolivia. La privatizzazione dell’industria telefonica in Belize. Il ‘corralito’, i conti bancari, la chiusura delle fabbriche in Argentina. La dollarizzazione dell’economia in Ecuador, etc. questa guerra
    la stanno ordinando le grandi transnazionali, le quali stanno usando gli stati semplicemente come cerbero dei propri interessi. Il dibattito tra le potenze su come invadere l’Iraq  fu esso stesso rivelatore: l’opposizione di Francia e Germania all’azione unilaterale degli Stati Uniti e Inghilterra aveva a che fare, più che altro, con la serie di contratti firmati tra questi paesi e il governo dell’Iraq per lo sfruttamento e l’esportazione del petrolio iracheno. Dietro a questo dibattito non c’è, come ingenuamente pensano Negri e Hardt, la lotta tra quelli che rimpiangono il vecchio stato nazionale, gli Stati Uniti, e quelli che in maniera supposta stanno costruendo il nuovo Impero, nel senso di stato mondiale. Ciò che realmente c’era dietro era sapere che la transnazionale (Exxon-Mobil, Elf o Total)  levava il petrolio al popolo iracheno, e per questo,  controllava la terza riserva di petrolio del mondo. Però la violenza non si riduce solo all’intervento militare, ma anche all’applicazione di una politica economica demolitrice. La trasformazione di territori suscettibili di essere fondamentali
    per l’espansione di un pugno di imprese, si converte in religione. La guerra non è più la continuazione della politica con altri mezzi, ma la politica si è convertita nella continuazione della guerra con altri mezzi. Per questo è indispensabile distinguere due fenomeni che si assomigliano ma non sono uguali.
    Una cosa è la spiegazione della decadenza dell’egemonia americana, intesa come un processo storico di lungo corso, e un altra è voler sovrapporre(nascondere) questa visione su un terreno congiunturale. Mi dispiace, però l’Imperialismo, o l’Impero, o come vogliate chiamare questa forma di dominio, non è una tigre di carta. Minimizzare il nostro nemico vuol dire minimizzarci noi stessi. Gli stati Uniti non sono governati da uno stupido, e non perché pensi che Bush non lo sia, ma perché sono governati da quella che il Subcomandante Marcos ha denominato come la “società del potere”. Per dirlo sinteticamente: chi decise l’intervento in Iraq non fu il signor Bush, ma il Consiglio degli Azionisti della Halliburton (multinazionale che opera in 124 paesi), e il complesso degli azionisti delle grandi marche
    transnazionali nordamericane. É indubitabile che gli Stati Uniti non hanno la stessa egemonia, e quindi, non hanno le caratteristiche che avevano immediatamente dopo la seconda guerra mondiale. Dire ciò è una banalità. Ciò che realmente è cambiato è che non esiste un locomotore che diriga il complesso del treno capitalista nel terreno dell’economia. Siamo lontani dal ruolo che svolsero i Paesi Bassi, o la Gran Bretagna, o gli stessi Stati uniti dal finale non della seconda guerra mondiale ma dalla prima. Stiamo constatando l’ovvio. Dopo bisogna aggiungere l’altra caratteristica: mai nella storia del capitalismo è esistita una tanto grande differenza, in quanto a capacita bellica, tra un paese e l’altro. E mai si è generata una politica tanto polifunzionale nel terreno militare.
    La quarta guerra mondiale (la guerra contro l’umanità) non può essere banalizzata, perché questo porta sempre conseguenze politiche ma sopratutto sociali. Effettivamente nessuno può governare unicamente con il potere militare , ma è anche vero che mai prima si è usato questo potere in maniera tanto profonda, per conseguire la subordinazione asservente di una buona parte degli stati nazionali. La guerra si vive giorno dopo giorno, in Iraq, Medio Oriente, Africa, e qui a pochi chilometri Cuba. Però si vive anche in Bolivia, in Venezuela, in tutta America latina. In alcune occasionI questa guerra si porta avanti per mezzo di sbarchi di truppe, o con l’addestramento militare, ma anche, come dicono gli zapatisti, per mezzo delle altre bombe, quelle finanziarie.
    Vorrei fare un esempio:è molto probabile che nei prossimi due anni, se non prima, l’economia nordamericana vivrà una gran crisi economica. Tutto indica che la crisi prodotta dalla frode immobiliare, sommata alla crisi per il debito delle carte di credito, più una disarticolazione della produzione industriale permetteranno una grave crisi finanziaria, ma anche produttiva.
    Di ciò se ne potrà approfittare la Cina, o l’Europa o il Giappone, pero l’argomento è più complesso. Una buona parte di questo debito è stato contratto dalle banche europee e giapponesi, ed in grandezza minore da quelle cinesi. Un analista economico diceva che la Cina, con il bilione e 600 mila milioni di dollari che ha come riserva, avrebbe potuto destabilizzare l’economia nordamericana, e che oggi la sorte degli Stati Uniti dipendono dal Partito Comunista Cinese. Però ciò che non si diceva, è che l’economia cinese dipende anche dalla stabilità del mercato più grande del mondo. Continuare insistendo in un’analisi nazionale, senza capire che, come mai prima, il mercato mondiale non è la somma delle economie nazionali ma qualcosa di più complesso, è un errore di analisi( per esempio, una buona parte dell’interscambio commerciale non è tra paesi ma tra marche transnazionali, e il commercio infra-marca sta sostituendo il commercio tra nazioni). Facciamo un esempio:quando in un paese come il Messico si parla di Prodotto Interno Lordo, di che stiamo parlando? Del complesso di produzione, distribuzione, consumo e narcotraffico che si porta avanti in Messico. Però se uno levasse dal PIL i profitti delle imprese multinazionali che sono in Messico, questo PIL sarebbe completamente differente: al paese che gli importa che la fabbrica Ford di Hermosillo esporti la totalità della sua produzione verso gli Stati Uniti e l’Europa, se si tratta di un affare dei padroni della Ford?qualcuno dirà che serve perché ci siano 900 posti di lavoro, e questo è vero, però non è questa la cosa fondamentale. In questo piano, ogni minuto e mezzo esce dalla linea di produzione-circolo CQ una macchina. Facendo calcoli risulta che in 21 minuti i padroni pagano il salario globale di tutti i lavoratori. Questo gli lascia 7 ore e 39 minuti di profitti. Non è troppo lavoro per retribuzioni tanto magre?
    Allora bene, il commercio tra gli stati è stato sostituito con il commercio intra-marca multinazionale. Quindi, non è già più possibile basare l’analisi in funzione dei conti correnti della bilancia commerciale dei pagamenti di un paese. Per questo i paesi più forti economicamente parlando non misurano la propria economia in funzione del PIL ma del Prodotto Nazionale Lordo, che misura la produzione del paese in funzione di tutte le fabbriche e negozi che abbiano come provenienza il paese in questione, detraendo a tutto ciò che si produce nelle proprie frontiere nazionali gli investimenti di altri paesi.
    Io non ho dubbi sul fatto che se scoppia questa crisi economica negli stati uniti, le borghesie e gli stati di tutto il mondo , incluso Messico, dovranno fare una gran FOBAPROA per riscattare l’economia americana. Perché nonostante tutte le paure, Lenin aveva ragione:non c’è vicolo cieco per il capitalismo. La teoria del crollo continua ad essere profondamente falsa. Quindi la guerra (il suo scoppio, la sua minaccia, la sua onnipresenza) si, oggi, è il fattore produttivo per eccellenza. E questa guerra non è né unica né fondamentalmente portata avanti da governi imperiali, ma anche e in maniera centrale dalle grandi multinazionali. Perciò hanno ragione gli indigeni boliviani quando dicono che “dove passa la Repsol non cresce più l’erba”.

La nuova geografia del mondo

“nella geografia del potere, uno non nasce in una parte del mondo ma con la possibilità o no di dominare qualsiasi parte del pianeta. Se prima l’argomento della superiorità era l’appartenenza ad una razza, oggi è la geografia: quelli che abitano nel nord, non il nord geografico ma in quello sociale, vuol dire, sono sopra, e quelli che vivono nel sud, sono sotto. La geografia si è semplificata, c’è un sopra e un sotto. Il luogo di sopra è stretto e entrano solo alcuni, il sotto è tanto amplio che abbraccia qualsiasi luogo del pianeta e ha spazio per tutta l’umanità. Nell’epoca moderna il potere porta avanti guerre multiple di conquista, e non mi riferisco a multiple nel senso di molte, ma nel senso di in molte parti e in molte forme”. (SIM, la otra geografia)

La visione semplificata di un mondo di spazi omogenei è saltata in mille pezzi. Per quanto lo si voglia rivivere questo è impossibile. In questo senso, quando si dice che Wall Street è più vicino alla borsa di Tokyo che del Bronx, siamo di fronte ad una verità che può applicarsi anche a Città del Messico, a San Paolo, o a Santiago del Cile. Il grattacielo Santa Fe in città del Messico ( zona culla della banda giovanile più grande del mondo, prima che esistesse la mara Salvatrucha, e dove le famiglie vivevano in grotte di montagna che sembrava cadessero sulla città), si costruisce cacciando tutti quelli che vivevano li. Allora, parlando in termini della nuova geografia neoliberale, il grattacielo sSanta Fe è più vicino a Houston che a Xochimilco, a Milpa Alta, o all’altra parte di Cuajimalpa. Ovviamente, li convive Wall Street con Calcutta. In conclusione, il recupero-acquisto del centro storico di città del Messico da parte di Carlos Slim, Slimlandia, come ormai conosciuto, ha la stessa metodologia. Cosi, ora, il Sud ed il Nord non hanno già più niente a che vedere con i punti cardinali, ma solo con sfruttamento, oppressione, esproprio, disprezzo, repressione, migrazione, flessibilità lavorale, privatizzazione dei beni della terra, etc., perché tutti questi processi avvengono tanto nel nord come nel sud geografico.

Specialmente in Messico questo processo trova nei popoli indigeni il suo antagonista principale. In questo contesto non c’è un posto dove ripararsi. In questa guerra il capitale ottiene tutto. La terra, l’acqua, l’aria, il genoma, tutto. Chi ancora custodisce una parte importante di questi beni della terra sono i popoli indigeni. Qui si colloca il carattere anticapitalista della loro lotta e mobilitazione. Non stanno lottando per salari migliori, o per pensioni più giuste(non ce l’hanno mai avute), la loro lotta è per continuare ad essere popoli indigeni ed il loro antagonista è il capitale. Sicuramente, ciò che vivono non è la decadenza dell’imperialismo, ma un attacco costante e globale che cerca di privarli dell’ultima cosa che gli resta, il loro territorio.

Quello che il capitale cerca è la creazione di questi nuovi spazi, che non si reggono per variabili politiche o sociali, ma per la prima volta unicamente su una specie di sovranità dell’accumulazione del capitale, che subordina e limita, questa è la sua illusione, qualsiasi altra sovranità.

In questo modo, il ruolo di chiunque nel processo produttivo si definisce, non nelle frontiere nazionali, ma altrove. Si tratta a volte di definitori invisibili, carenti di qualsiasi responsabilità territoriale e sociale e che spesso sono al margine di qualsiasi giurisdizione. Cosi i governi, le legislature, o i partiti nazionali, non hanno altro ruolo da giocare che non sia quello di accompagnatori o comparse. I ritmi della democrazia rappresentativa si vedono superati sia dalla impellenza dell’urgenza come dalla speculazione istantanea imposta dai mercati. La logica interna tra gli spazzi economici, politici, giuridici e ecologici non esiste più. Lo scheletro dello stato nazione si frattura, e le sovranità territoriali diventano un ricordo di un passato glorioso. Il diritto di ciascun paese esce di scena di fronte ad un diritto esterno indeterminato, diffuso e accomodante.

Questo è il quadro in cui la classe politica nel suo insieme sia di destra o di sinistra, si muove, per loro non esiste altro. Non esiste nessun orizzonte oltre il capitale.

Conclusione

Il processo di valorizzazione del capitale si realizza rompendo, o provando a rompere, la dignità degli esseri umani nel terreno individuale. Nel processo di produzione capitalistico gli esseri umani sono espropriati del proprio corpo e della propria vita. Negli anni sessanta, un intellettuale Messicano di sinistra rispose, all’iniziale movimento femminista, che, al posto di gridare tanto, ciò che avrebbero dovuto fare era incorporarsi al processo produttivo. Come se fosse possibile che qualcuno, sia uomo o donna, possa decidere di entrare nel processo produttivo; come se non fosse un atto carico di violenza che inibisce qualsiasi capacità di decisione individuale.

La dignità, quindi, non è qualcosa che esiste in maniera autonoma, per il semplice fatto di essere sfruttato o oppresso. Mi dispiace, il mondo sarebbe migliore se fosse cosi, pero disgraziatamente non è cosi. La dignità è qualcosa che si ottiene come prodotto della lotta e dell’organizzazione sociale, collettiva, comunitaria. Dire che un migrante se ne va dal Messico come atto di dignità è fare demagogia. Il migrante se ne va per il fatto che vive nella miseria assoluta, come conseguenza dell’esproprio capitalista, e della codardia delle organizzazioni contadine che firmarono le riforme all’articolo 27 costituzionale. Quello che l’Altra Campagna gli ha continuato a dire per tutto il paese,  è di non andare, li invitava a lottare per recuperare il controllo sulle terre e per mettere fine alla forma di sfruttamento del capitalismo.

Non può esistere una disconnessione o distacco individuale o di piccoli gruppi dal capitalismo. Incluso processi come quelli delle Giunte del Buon Governo devono essere intese, credo io, come esperienze che esistono per se stesse, però alla lunga sono dinamiche di auto-emancipazione che solamente potranno continuare se saranno generalizzate; penso che li risiede l’altra spiegazione del lancio della Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona, e non solo per il fatto che è complicato sopravvivere nel mezzo del mare delle ingiustizie, dello sfruttamento e dell’esproprio, ma anche perché le comunità zapatiste hanno stabilito un compromesso con gli altri popoli del Messico. E non  è troppo ricordarlo, quando gli zapatisti danno la propria parola, ciò che si pensa comincia ad esistere. Queste Giunte del Buon Governo sono una creazione eroica che hanno tutto il  mio rispetto ed ammirazione. Quello a cui mi oppongo è che si venda l’idea che si possa fuggire dal capitalismo per mezzo di una decisione soggettiva. Ciò che, si, si può fare , che è anche quello che i lavoratori delle campagna e della città provano con risultati diversi, è costruire una forma per affrontare il capitale, perché capiscono che questa è l’unica maniera di recuperare la loro (nostra) dignità. Per questo, credo, c’è bisogno di molte lotte, molte riunioni, molte mobilitazioni, in pratica, c’è bisogno che la gente rompa con la logica del capitale, con la grammatica del dominio, per mezzo dell’insubordinazione e di meccanismi di auto-organizzazione.

La politica dell’Altra Campagna è una politica contro il capitalismo, quindi, contro lo sfruttamento, l’esproprio, la repressione ed il disprezzo. Che cerca, parafrasando Josè Marti, con i popoli della terra di condividere la sua sorte, e questo è cosi perché capiamo che la povertà è il prodotto diretto del capitalismo come tale, e che non può risolversi nel quadro di questo sistema. Per tutto questo , l’Altra Campagna è una politica di dignità, perché prova a rompere i meccanismi di sottomissione che il capitalismo ha generato per soffocare lo spazio della vita, perché sempre di più, loro cercano di ottenere la nostra vita in qualsiasi posto noi possiamo stare, sia nella catena di montaggio, che nel circolo di CQ, nelle scuole, nella vendita del caffè, sul treno della morte che attraversa il Messico, trasportando in maniera disumana a centinai di nostri fratelli centroamericani e Messicani, durante il tragitto verso gli Stati Uniti, nell’esproprio perpetuato contro le comunità agricole, nella consegna di 700 pesos per essere “adulto in pieno”, nell’assicurazione contro la disoccupazione del Signor Ebrard, nelle sopraelevate, e potrei aggiungere migliaia di esempi. In tutti questi casi, ciò che hanno in comune è la decisione di quelli di sopra di inondare di disonore la gente. Si affronti, esista, si costruisca, si edifichi, la volontà di distruggere il capitalismo, come prerequisito affinché tutti possiamo vivere con dignità.

Per ultimo, voglio spiegare quello che intendo per dignità:si tratta, prima di tutto, di costruire un immaginario comune di insubordinazione che vada più in la delle teorie e dei programmi dei diversi settori della classe politica, o dei mezzi di comunicazione intellettuali che fanno del denaro la propria religione. Sono una serie di idee, immagini, simboli, ricordi, racconti, corridos, che incarnano quelli di sotto, i quali, nell’ombra, stanno costruendo la propria resistenza e la propria ribellione, che quasi nessuno vede, che non è presa in considerazione e che, in un momento dato, si manifesterà apertamente, come un raggio di sole in un cielo apparentemente sereno, che però è esistito da sempre nella propria conformazione di popolo povero. È la memoria ostinata del sotto, di Nessuno, che nasconda la vergogna ottenendo che la storia recuperi la morale. È il salto della tigre di cui ci parla Walter Benjamin.

E sopra il responso e il requiem al socialismo, è sempre consigliabile la prudenza.

Bisogna aspettare e vedere, non lavorare con modelli apparentemente aperti, ma pregiudizialmente  chiusi. Nelle lotte di oggi si prefigura la costruzione del domani.

Se la quarta guerra mondiale è la guerra contro l’umanità, loro vogliono tutto, vuol dire il nostro corpo, la nostra mente, la nostra vita. La nostra lotta è per la giustizia, la libertà e la democrazia e ,per me, questo è il socialismo. Ma non mi preoccupa il nome, ciò che realmente mi interessa è che questi tre obiettivi li costruiamo tutti uniti, con le nostre differenze e le nostre somiglianze, e recuperiamo ciò che, credo, è stato sempre il nostro sogno:il controllo del nostro destino, il rispetto del nostro ambiente, il controllo della nostra vita, l’amore; e perciò è indispensabile mettere fine al capitalismo, quindi allo sfruttamento, all’esproprio, alla repressione e al disprezzo.

Effettivamente esiste la sua morale e la nostra.

San Cristobal de Las Casas

15 dicembre 2007


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