Traduzione di Resistenza Antisistema rivista ed approvata da Immanuel Wallerstein (testo originale)
Per molto tempo ci furono solo poche università al mondo. Il corpo studentesco in queste istituzioni era veramente ristretto. Questo piccolo gruppo di studenti apparteneva interamente alle classi più elevate. Aver fatto l’università conferiva grande prestigio e risultava in grandi privilegi.
Questo quadro iniziò a cambiare radicalmente dopo il 1945. Il numero di università iniziò ad aumentare considerevolmente, e nel corso degli anni la percentuale di persone con un grado di istruzione universitaria iniziò ad aumentare. Inoltre, non fu meramente una questione di espansione in quei paesi che già avevano università degne di nota. Le università proliferarono in un largo numero di paesi che fino al 1945 non avevano o avevano una scarsa presenza di università. L’alta formazione divenne mondiale.
La pressione per tale espansione veniva sia da dall’alto che dal basso. Dall’alto, i governi sentivano un importante bisogno di laureati per assicurarsi la capacità di competere nell’avanzamento tecnologico, che andava di pari passo con l’esplosiva espansione dell’economia-mondo. Dal basso, un ampia parte sia degli strati intermedi che di quelli inferiori della popolazione insistevano nell’aver la possibilità di accedere all’alta educazione per migliorare la propria posizione e prospettiva sociale.
L’espansione delle università, che fu notevole per dimensioni, venne resa possibile grazie all’enorme espansione dell’economia-mondo dopo il 1945, la più grande del sistema-mondo moderno. C’erano enormi quantità di denaro disponibili per le università, che furono ben felici di utilizzarle.
Naturalmente, questo in qualche modo ha cambiato il sistema universitario. L’aumento della grandezza delle università gli fece perdere quel carattere di esclusività che avevano in precedenza. La composizione sociale degli studenti, e dei professori poi, si evolse. In molte nazioni, l’espansione non significò solamente una riduzione nel monopolio delle persone degli strati più elevati fra studenti, professori e amministratori ma, spesso, significò anche l’accesso per quei gruppi di minoranza, anche le donne, che fino ad allora ne erano stati totalmente esclusi.
Questo roseo quadretto andò in difficoltà poco dopo il 1970. Per un motivo, l’economia-mondo entrò nella sua lunga fase di stagnazione, e a poco a poco la quantità di denaro disponibile per le università, che era quasi totalmente statale, andò diminuendo. Allo stesso tempo i costi dell’istruzione universitaria continuarono a crescere e la pressione dal basso per un’espansione continua crebbe in forza. Come due curve che vanno in direzioni opposte: meno denaro disponibile, spese sempre maggiori.
Nel frattempo arrivò il 21° secolo, e questa situazione era diventata insostenibile. Come la hanno affrontata le università? La via più battuta fu quella che arrivammo a definire “privatizzazione”. Sino al 1970, ma già da prima del 1945, quasi tutte le università erano istituzioni statali. L’unica eccezione significativa era rappresentata dagli Stati Uniti d’America, che disponevano di un gran numero di istituti non statali, molti dei quali evolutisi da istituzioni di tipo religioso. Ma anche in questi istituti privati degli USA, le università erano gestite come istituzioni no-profit.
La privatizzazione cominciò a delinearsi nel mondo sotto vari aspetti: uno, iniziarono ad esserci istituzioni di tipo superiore costituite appositamente per scopi di lucro. Due, le istituzioni pubbliche furono costrette a cercare denaro da investitori, che iniziarono a insediarsi nella governance interna alle università. Tre, iniziarono a brevettare le invenzioni dei loro ricercatori, ponendosi come operatori nell’economia, cioè per business.
In una situazione in cui il denaro era scarso, o almeno sembrava scarso, le università si trasformarono sempre più in istituzioni di tipo azienda. Questo può essere visto principalmente in due modi. Le posizioni di amministrazione, tradizionalmente assegnate ad accademici, iniziarono ad essere occupate da persone con backgorund in economia e finanza e non in vita universitaria. Chi rastrellava il denaro, iniziava anche a voler decidere i criteri per spenderlo.
Si cominciò ad effettuare le valutazioni di facoltà e dipartimenti in base al loro surplus di guadagno, rispetto all’investimento iniziale. I criteri di valutazione dovrebbero essere basati su quanti studenti decidono di proseguire gli studi specializzati, o su come viene stimata da terzi l’attività di ricerca di quel dato dipartimento o ateneo. Invece la vita intellettuale cominciò ad essere giudicata in base a criteri da pseudo-mercato. Anche il reclutamento di nuovi studenti veniva misurato dalla quantità di denaro che essi potevano portare.
E, come se questo non bastasse, le università cominciarono ad essere attaccate da correnti anti-intelletuali di estrema destra che le consideravano istituzioni troppo laiche ed anticlericali. L’università come istituzione critica, critica verso l’ideologia dominante, si è sempre scontrata con la repressione degli stati e delle élite. Ma il suo potere di sopravvivenza è sempre stato radicato nella sua autonomia dal punto di vista finanziario, e sul reale basso costo necessario allo svolgimento del servizio offerto. Questa era l’università del passato, non di oggi o di domani.
Si potrebbe dire che questo è soltanto un altro aspetto del caos moderno in cui viviamo. Fatto salvo che si pensava le università dovessero essere il luogo centrale (naturalmente non l’unico) di analisi della realtà del sistema-mondo. Sono proprio queste analisi che potrebbero aiutarci a navigare nel caos della transizione verso un nuovo, speriamo migliore, sistema-mondo. Al momento, la confusione nelle università non sembra più facile da risolvere di quella nell’economia-mondo. E sempre meno attenzione le viene oggi rivolta.
Immanuel Wallerstein
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